19 maggio – 06 0ttobre 2018 | a cura di Tommaso Zijno | Museo dell’Arte Classica – Università degli Studi di Roma La Sapienza, Roma
UN GESTO DI ASSOLUTA DEDIZIONE di Tommaso Zijno
Per Bruno Melappioni “scolpire” è un gesto di assoluta dedizione. Egli, al contrario di molti, non ha la necessità di fingersi artista, poiché, da quando ha memoria, lo è sempre stato. Vedendolo all’opera non si può difatti rimanere impassibili di fronte alla naturale semplicità con cui riesce a plasmare la materia per dargli forma umana: le sue sculture, vibranti e dinamiche, ci mostrano un perimetro essenziale, intessuto da linee continue che irretiscono l’essenza del soggetto raffigurato.
Negli ultimi anni il suo lavoro si è focalizzato su immagini tratte dall’iconografia classica, come le figure della Maddalena o del San Sebastiano, o riprese dall’immaginario popolare contemporaneo, come Marylin Monroe o Michael Jackson, rielaborate in maniera ironica e “dissacrante”.
Bruno continua qui la sua ricerca, prendendo a campionario la raccolta di statue presente nel Museo dell’Arte Classica: la Nike di Samotracia, ad esempio, si libra nell’aria con metalliche ali d’aeroplano, mentre la Venere di Milo, icona di pudica e limpida bellezza, osteggia un vistoso tatuaggio e l’Ercole Farnese “baratta” la sua clava con un più moderno e letale mitra.
Queste imponenti figure, simbolo di antiche virtù, si trovano ora costrette ad osservare il declino dei valori da loro stesse suggeriti. Melappioni tenta di risollevarne le sorti attraverso un approccio che unisce ironia e denuncia sociale, riportando in auge lezioni ormai sopite. Filo conduttore di questo percorso è il ferro, che lavorato dalle sapienti mani dell’artista disegna l’aria e modella le forme.
ICONA SOGGETTO O OGGETTO? di Laura Lucibello
Cos’è una “icona”? Letteralmente il termine definisce l’essere simile, l’apparire, l’immagine. In epoca moderna Gilbert Dagron scrive sull’arte di Kandinskij “ha una parentela sicura con il tipo di rappresentazione iconica che l’ortodossia ha consacrato nella sfera religiosa, ma che l’artista moderno utilizza a fini differenti”.
Qual è dunque “il fine differente” che porta Bruno Melappioni ad accostare icone consolidate, attinte dalle differenti stratificazioni storiche, artististiche, spirituali, religiose, a moderni simboli, immagini, loghi e slogan che ogni giorno ci bombardano cercando di indirizzare un concetto, un movimento culturale, un ideale per divenire simbolo della nostra epoca. Azzardare cosa e perché diventerà icona è difficile da stabilire.
La mostra ICONE 2.0, quindi, merita particolare attenzione nel formulare motivazioni in base a ciò che vediamo, col presupposto di non conoscere quelle che hanno mosso l’artista nella sua realizzazione.
Il contrasto tra i due soggetti/oggetti rappresentati, icona consolidata e icona moderna che convivono in ogni singola opera, è così palese. Ciò che può sembrare un semplice gioco, ad un occhio non attento, sottende, con forme semplici e lineari, ad un lavorio sulla specificità di linguaggi, innescando quel pathos, quell’ansia di misurarsi con la memoria, in stile detox e ambigua, perché capace soprattutto di piegarsi alle esigenze del periodo in cui si vive.
È cambiato il modo di intendere la vita, ora tutto è un calcolare. Nelle opere in mostra Melappioni ha saputo raccontare, contenere ma anche espandere e trasformare, ridisegnando, con esperienza e sensibilità, il suo risultato personale ed originale. Il richiamo all’arcaico, alle emozioni umane, al rapporto tra uomo e immagini, tra simbolo e segno, tra mito e scienza, non seguono un andamento lineare, ma divengono catalizzanti di rinnovamento nel messaggio artistico “solo ciò che rimarrà eredità in forze ed emozioni primitive, non si dissolverà, semmai si travestirà, rimanendo rappresentazione di vera icona”.
Fotografie di Alberto Guerri