5 maggio 2017 | a cura di Giorgia Basili | Together, Roma
Bruno Melappioni (classe 1950) è un artista molto legato al territorio. Il suo studio ubicato nel quartiere di San Lorenzo, come una sorta di Factory rappresenta un luogo di incontro, di scambio, di confronto produttivo e stimolante. Bruno Melappioni può essere ritenuto un maestro, perché con la sua temperanza ed estrema volontà creativa, affronta quotidianamente le asperità dell’essere artista con filosofia, esperienza ed un’intelligenza più unica che rara.
L’impressione che si ha in presenza delle sue sculture è che le stesse vibrino di un’esistenza propria, sospese tra la realtà in cui insistono e una dimensione altra. Leggere come l’aria che circola al loro interno sembrano permearla, trattenerla in un corpo vivo ed espirarla, più calda e concentrata. Queste opere non utilizzano materiali classici come il marmo o il bronzo, non si presentano nella nodosità del legno bensì nella duttilità di un’intelaiatura in ferro, che lascia l’anima “nuda” senza sovrapporre alcun rivestimento.
Le figure femminili condividono con il circostante la carne ma non le ossa. Sono strutture minimali, scheletri dinamici che mantengono intatta la sensualità e la temperatura corporea sfidando le leggi fisiche.
Le Atlete di Bruno Melappioni sono creature affascinanti, silhouette che si distribuiscono nello spazio in una maglia muscolare di filamenti, un tessuto connettivo autosufficiente che si addensa o dirada per zone volumetriche, assecondando il movimento che si irradia nelle vene metalliche.
La Ballerina articola la sua danza in una gestualità morbida, fluida da odalisca. Mentre fa passare il nastro delicatamente dietro la spalla, curva il volto seguendo una cadenza interiore, in un moto di consapevole vanità. Come un’acrobata sospesa sugli anelli a mezz’aria che perde di colpo ogni forza vitale Ecce donna, con le braccia inerzialmente tese verso l’alto, si abbandona alla gravità. Un’icona “dissacrata” cristologica, un corpo crocifisso che si rivela in tutta la propria debole umanità.
L’Amazzone, quasi fosse appena scesa da cavallo, prende la mira per colpire la preda. La chioma raccolta in una coda alta, le orecchie e il collo scoperti. Una mantide religiosa aggraziata ed agile, determinata manipolatrice. Incanta come Medusa nella calibrata distribuzione delle membra, longilinee e affusolate, energicamente concentrate nell’acme della caccia all’uomo. Tende l’arco, la freccia già incoccata è pronta a scalfire gli organi vitali.